Buona Vigilia a tutti. Che possa
essere un Natale sereno, divertente e spumeggiante, da condividere a tavola con
i vostri cari, con chi amate e con chi sopportate. Il cibo ha un grande potere
evocativo, ci lega a luoghi, a emozioni, a persone. In questi giorni di festa
fotografate, postate e condividete con me un piatto, una ricetta, uno spuntino,
un cibo legato ad un momento felice, a un ricordo piacevole o anche a una dolcissima
malinconia. Raccontate il vostro piatto dei ricordi, quello che vi fa star bene
e a cui ricorrete quando avete bisogno di tornare con la mente in un
determinato luogo.
Facendolo, magari potrete
assaporare quel piacere inaspettato che può scaturire dalla riscoperta di un
cibo della memoria legato a quei profumi e a quei sapori dell’infanzia, così
come scrive Marcel Proust ne suo libro À la recherche du temps perdu, capolavoro letterario del Novecento, descrive con
parole eterne il suo incontro con le madlennes :
«Ed
ecco, macchinalmente, oppresso dalla giornata grigia e dalla previsione d'un
triste domani, portai alle labbra un cucchiaino di tè, in cui avevo inzuppato
un pezzo di «maddalena». Ma, nel momento stesso che quel sorso misto a briciole
di focaccia toccò il mio palato, trasalii, attento a quanto avveniva in me di
straordinario. Un piacere delizioso m'aveva invaso, isolato, senza nozione
della sua causa. M'aveva reso indifferenti le vicissitudini della vita, le sue
calamità, la sua brevità illusoria, nel modo stesso che agisce l'amore,
colmandomi d'un'essenza preziosa: o meglio quest'essenza non era in me. era me
stesso. Avevo cessato di sentirmi mediocre, contingente, mortale. Donde m'era
potuta venire quella gioia violenta? Sentivo ch'era legata al sapore del tè e
della focaccia, ma la sorpassava incommensurabilmente, non doveva essere della
stessa natura. Donde veniva? Che significava? Dove afferrarla?».
Senza dolci non è Natale
RispondiEliminaIn questi giorni di festa, sulle nostre tavole riccamente imbandite, traboccanti di ogni ben di Dio, dopo ricche portate degne della più celebrata tradizione gastronomia italica, troveremo sempre un posto per l’invitato d’onore: dulcis in fundo. Del resto, il dolce è un instancabile seduttore, ci ammalia con i suoi odori, spesso ci sorprende coi i suoi colori e le sue forme, ci tenta con la promessa di estasi sensoriali che difficilmente resteranno disattese e sarà quasi impossibile resistere alle sue lusinghe. Tuttavia il dolce non è solo delizia del palato ma svolge anche una importante funzione simbolica ponendosi come segno tangibile e condivisibile di festa all’interno di tutti i contesti tradizionali compreso quello sardo dentro il quale, soprattutto in passato, scandiva le varie fasi del ciclo della vita e del ciclo dell’anno, demarcando differenze di status e di genere, ma contribuendo anche a cementare vincoli familiari e legami comunitari. Legati ai cicli stagionali e alla disponibilità degli ingredienti necessari, si confezionavano dolci particolari per ogni ricorrenza dell’anno, prepararli significava prepararsi alla festa, assaporarli equivaleva a vivere la festa stessa, a dargli un sapore, un colore, un ricordo. Il Natale ovviamente non faceva eccezione e prima che il panettone o il pandoro seducessero le tavole di Sardegna la festa della natività era l’occasione per la preparazione e il consumo dei cosiddetti dolci invernali come il pan’e saba e i pabassini. Il primo, ottenuto impastando farina di grano duro, lievito naturale, sapa (mosto d’uva bollito), uva passa, talvolta noci e altri aromi come semi d’anice, scorza di limone o di arancia, rientra nella grande famiglia dei pani dolci alla quale, per intenderci, appartiene anche il panettone, e affonda le sue radici storiche fin nella Roma antica dove massaie e fornai amavano arricchire il composto destinato alla panificazione con ingredienti dolci, come l’uva passa per appunto. Anche i papassini devono il loro nome alla presenza dell’uvetta nel loro impasto e malgrado possano esser declinati in infiniti modi e forme tante quante sono le diverse zone della Sardegna in cui si preparano, si caratterizzano in genere per l’aroma di noci, di mandorle e per la bianca, fragrante glassa costellata di codette colorate che li ricopre. Nella maggior parte dei casi la produzione domestica di questi prodotti dolciari era un rito collettivo all’interno di una famiglia e molto spesso coinvolgeva anche più nuclei familiari, era una pratica che univa e dava senso di appartenenza, faceva sentire a casa e questo, del resto, era lo spirito della festa secondo il comune sentire di una volta.
Anche quest'anno la nostra tavola è stata imbandita con i cibi più tradizionali ma comunque sempre innovativi (come il tuo cous cous), passando dal pesce alla carne (il maialetto arrosto rimarrà sempre e comunque fondamentale), ma senza ovviamente dimenticare i tradizionalissimi dolci natalizi, tutto rigorosamente preparato a mano per mantenere la tradizione. Oltre al cibo la cosa più importante è stata la presenza dei nostri cari a tavola (ovviamente tu sei stato tra quelli <3)per rendere, come ogni anno, felice ed indimenticabile la NOSTRA fantastica vigilia.
RispondiEliminaGrazie zia :-)
EliminaFortunatissimi ad averti come zia e ad esser presenti alla cena♥♥♥ARY
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