Il panettone e il pandoro sono oggi tra i dolci di Natale più
diffusi nel nostro paese e non solo. Il consumatore oltre ad apprezzare il
gusto e il sapore di questi prodotti che l’industria dolciaria ha portato sulle
tavole di tutti gli italiani prima e su quelle di mezzo mondo poi, li predilige
ad altri perché li avverte come tradizionali, tipici e dunque genuini. Del
resto, l’usanza di confezionare pani dolci votivi e benaugurali in occasione
delle feste legate al solstizio invernale è molto antica e rimanda alle
popolazioni Celtiche che abitavano il nord Italia. In origine era un pane
impastato con farina, frutta secca e miele, da regalare e consumare
come segno di una nuova stagione di abbondanza e ricchezza.
Con l’avvento del Cristianesimo
il Natale, la ricorrenza della nascita del Redentore, soppiantò le feste pagane
invernali, ma quei dolci continuarono ad essere comunque preparati in ambito
familiare. Presero il nome di “pan grande“ e venivano consumati al
rientro dalla messa di mezzanotte secondo un rituale che affidava al membro più
anziano l’onore del taglio e destinava una fetta al primo povero che avesse
bussato alla porta. Tuttavia quel pane dolce manteneva ancora la forma di una
grossa pagnotta ed era meno lievitato del panettone attuale i cui più
diretti progenitori potrebbero ritrovarsi nel Medioevo, nei territori
sottoposti alla Signoria degli Sforza. Esistono almeno tre le leggende in
merito, una relativa alla disavventura di un pasticcere, che per ovviare a
un’infelice infornata porta in tavola il “Pan de Toni“, il dolce
improvvisato dal garzone Antonio; la seconda racconta di una storia d’amore
contrastata, quella tra Ughetto degli Atellani, falconiere di Ludovico il Moro,
e la bella Adalgisa, figlia di un fornaio, che riescono a convolare a nozze
grazie all'invenzione di un “Pan di tono” condito con
ingredienti sopraffini, e infine quella di suor Ughetta (ugheta,
come uva passa) che sostentava i poveri e rallegrava le sorelle del proprio
convento grazie agli introiti della sua attività di pasticcera.
In Lombardia (come in altre parti
d’Italia), in concomitanza con la preparazione del panettone, era uso
anche bruciare il ciocco natalizio, che doveva bruciare un po’ ogni sera
durante i 12 giorni natalizi fino all'Epifania. Dodici giorni,
simbolo dei 12 mesi dell’anno, in analogia con il sole (e poi il Cristo) che,
nato al solstizio d’inverno, avrebbe nutrito la terra per un anno intero.
Per questo si diceva “Domani è il giorno del pane” e si consumavano dolci a
base di farina, uvetta e canditi, dei quali il panettone è oggi il più
famoso. L’usanza è diffusa in tutta Europa: in Francia si usa
preparare nelle campagne il pain de Calandre. Poi se ne taglia
nella parte superiore un pezzetto sul quale vengono incise tre o quattro
croci: è un talismano – dicono i contadini dell’Avernia – capace di
guarire da molti mali. Il resto del pain de Calandre viene
mangiato da tutta la famiglia. In Inghilterra i fornai regalavano ai
clienti una focaccia beneaugurale, detta Christmas-batch, non
diversamente da quelli lombardi che, prima della commercializzazione moderna,
offrivano il panettone a Natale.
Il panettone che oggi conosciamo,
presente sulle nostre tavole natalizie, ha una datazione più tarda, collocabile
intorno all'Otto-Novecento, frutto della competizione tra le “offellerie”
milanesi più di moda, Biffi e Cova (le antenate delle moderne
pasticcerie; da “offa“, parola usata per indicare delle focaccette dolci
sfornate per allietare le feste. L’offelliere era l’artigiano che realizzava
queste specialità dolci, distinto dal fornaio che, un tempo, si occupava
esclusivamente di panificare).
Paolo Biffi realizzò un enorme panettone per Pio IX al quale lo
spedì con una carrozza speciale nel 1847. Golosi del pan del ton sono stati
molti personaggi storici: dal Manzoni al principe austriaco Metternich,
quest'ultimo parlando delle "cinque giornate" disse dei milanesi:
"Sono buoni come i panettoni".
Il panettone era ancora fino ad allora per lo più basso
dell’attuale, nasce basso, ma crebbe in altezza grazie alla voglia di
distinguersi di Angelo Motta: è a lui che negli anni Trenta del XX secolo
si deve lo slancio in verticale dell’impasto in lievitazione costringendolo in
un pirottino di carta da forno (la competizione poi si stabilirà tra lui e
Alemagna).
Quale sia la sua origine, questo dolce veniva prodotto a
Milano tutto l’anno in formato ridotto, solo a Natale raggiungeva un peso
superiore ai 500 gr. Il Cherubini infatti scriveva che “grande di una o più
libbre sogliamo farlo soltanto per Natale, di pari o simil pasta, ma in
pannellini si fa tutto l’anno dagli offellai e lo chiamano panattonin“.
Una tradizione ancora viva in Lombardia associa il giorno
dedicato a S. Biagio (3 febbraio) al panettone. In occasione di
questa festa si offrono fette di panettone leggermente tostate e cosparse di
zucchero a velo (o bagnate nel vino), in ricordo di un miracolo del
santo che curò un bambino morente a causa di una spina di pesce che gli si era
conficcata nella gola. S. Biagio fece ingoiare al bambino una grossa mollica di
pane che portò via la spina, salvando così la vita al piccolo. Da qui la
tradizione di serbare il panettone di Natale fino al giorno di S. Biagio,
perché sicuri che se mangiato in tale data il dolce preservasse dal mal di
gola.
Anche la storia del pandoro, golosità veronese, è ricca di
aneddoti e leggende. L'attuale versione del pandoro risale all'Ottocento come
evoluzione del "nadalin", il duecentesco dolce della città di Verona.
Il suo nome e alcune delle sue peculiarità risalirebbero invece ai tempi della
Repubblica Veneziana dove sembra fra l'offerta di cibi ricoperti con sottili
foglie d'oro zecchino, ci fosse anche un dolce a forma conica chiamato
"pan de oro". Un'altra storia assegna la maternità del pandoro alla
famosa brioche francese, che per secoli ha rappresentato il dessert della corte
dei Dogi. In ogni caso c'è una data che sanziona ufficialmente la nascita
del pandoro, il 14 ottobre 1884, giorno in cui Domenico Melegatti depositò
all'ufficio brevetti un dolce dall'impasto morbido e dal caratteristico stampo
di cottura con forma di stella troncoconica a otto punte, opera dell'artista
Dall'Oca Bianca, pittore impressionista.
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