lunedì 30 dicembre 2013

Pan grande. Pan de Toni, Pan di tono, Pan de oro...



Il panettone e il pandoro sono oggi tra i dolci di Natale più diffusi nel nostro paese e non solo. Il consumatore oltre ad apprezzare il gusto e il sapore di questi prodotti che l’industria dolciaria ha portato sulle tavole di tutti gli italiani prima e su quelle di mezzo mondo poi, li predilige ad altri perché li avverte come tradizionali, tipici e dunque genuini. Del resto, l’usanza di confezionare pani dolci votivi e benaugurali in occasione delle feste legate al solstizio invernale è molto antica e rimanda alle popolazioni Celtiche che abitavano il nord Italia. In origine era un pane impastato con farina, frutta secca e miele, da regalare e consumare come segno di una nuova stagione di abbondanza e ricchezza.
Con l’avvento del Cristianesimo il Natale, la ricorrenza della nascita del Redentore, soppiantò le feste pagane invernali, ma quei dolci continuarono ad essere comunque preparati in ambito familiare. Presero il nome di  “pan grande“ e venivano consumati al rientro dalla messa di mezzanotte secondo un rituale che affidava al membro più anziano l’onore del taglio e destinava una fetta al primo povero che avesse bussato alla porta. Tuttavia quel pane dolce manteneva ancora la forma di una grossa pagnotta ed era meno lievitato del panettone attuale i cui più diretti progenitori potrebbero ritrovarsi nel Medioevo, nei territori sottoposti alla Signoria degli Sforza. Esistono almeno tre le leggende in merito, una relativa alla disavventura di un pasticcere, che per ovviare a un’infelice infornata porta in tavola il “Pan de Toni“, il dolce improvvisato dal garzone Antonio; la seconda racconta di una storia d’amore contrastata, quella tra Ughetto degli Atellani, falconiere di Ludovico il Moro, e la bella Adalgisa, figlia di un fornaio, che riescono a convolare a nozze grazie all'invenzione di un “Pan di tono” condito con ingredienti sopraffini, e infine quella di suor Ughetta (ugheta, come uva passa) che sostentava i poveri e rallegrava le sorelle del proprio convento grazie agli introiti della sua attività di pasticcera.
In Lombardia (come in altre parti d’Italia), in concomitanza con la preparazione del panettone, era uso anche bruciare il ciocco natalizio, che doveva bruciare un po’ ogni sera durante i 12 giorni natalizi fino all'Epifania. Dodici giorni, simbolo dei 12 mesi dell’anno, in analogia con il sole (e poi il Cristo) che, nato al solstizio d’inverno, avrebbe nutrito la terra per un anno intero. Per questo si diceva “Domani è il giorno del pane” e si consumavano dolci a base di farina, uvetta e canditi, dei quali il panettone è oggi il più famoso. L’usanza è diffusa in tutta Europa: in Francia si usa preparare nelle campagne il pain de Calandre. Poi se ne taglia nella parte superiore un pezzetto sul quale vengono incise tre o quattro croci: è un talismano – dicono i contadini dell’Avernia – capace di guarire da molti mali. Il resto del pain de Calandre viene mangiato da tutta la famiglia. In Inghilterra i fornai regalavano ai clienti una focaccia beneaugurale, detta Christmas-batch, non diversamente da quelli lombardi che, prima della commercializzazione moderna, offrivano il panettone a Natale.
Il panettone che oggi conosciamo, presente sulle nostre tavole natalizie, ha una datazione più tarda, collocabile intorno all'Otto-Novecento, frutto della competizione tra le “offellerie” milanesi più di moda, Biffi e Cova (le antenate delle moderne pasticcerie; da “offa“, parola usata per indicare delle focaccette dolci sfornate per allietare le feste. L’offelliere era l’artigiano che realizzava queste specialità dolci, distinto dal fornaio che, un tempo, si occupava esclusivamente di panificare).
Paolo Biffi realizzò un enorme panettone per Pio IX al quale lo spedì con una carrozza speciale nel 1847. Golosi del pan del ton sono stati molti personaggi storici: dal Manzoni al principe austriaco Metternich, quest'ultimo parlando delle "cinque giornate" disse dei milanesi: "Sono buoni come i panettoni". 
Il panettone era ancora fino ad allora per lo più basso dell’attuale, nasce basso, ma crebbe in altezza grazie alla voglia di distinguersi di Angelo Motta: è a lui che negli anni Trenta del XX secolo si deve lo slancio in verticale dell’impasto in lievitazione costringendolo in un pirottino di carta da forno (la competizione poi si stabilirà tra lui e Alemagna).
Quale sia la sua origine, questo dolce veniva prodotto a Milano tutto l’anno in formato ridotto, solo a Natale raggiungeva un peso superiore ai 500 gr. Il Cherubini infatti scriveva che “grande di una o più libbre sogliamo farlo soltanto per Natale, di pari o simil pasta, ma in pannellini si fa tutto l’anno dagli offellai e lo chiamano panattonin“.
Una tradizione ancora viva in Lombardia associa il giorno dedicato a S. Biagio (3 febbraio) al panettone. In occasione di questa festa si offrono fette di panettone leggermente tostate e cosparse di zucchero a velo (o bagnate nel vino), in ricordo di un miracolo del santo che curò un bambino morente a causa di una spina di pesce che gli si era conficcata nella gola. S. Biagio fece ingoiare al bambino una grossa mollica di pane che portò via la spina, salvando così la vita al piccolo. Da qui la tradizione di serbare il panettone di Natale fino al giorno di S. Biagio, perché sicuri che se mangiato in tale data il dolce preservasse dal mal di gola.
Anche la storia del pandoro, golosità veronese, è ricca di aneddoti e leggende. L'attuale versione del pandoro risale all'Ottocento come evoluzione del "nadalin", il duecentesco dolce della città di Verona. Il suo nome e alcune delle sue peculiarità risalirebbero invece ai tempi della Repubblica Veneziana dove sembra fra l'offerta di cibi ricoperti con sottili foglie d'oro zecchino, ci fosse anche un dolce a forma conica chiamato "pan de oro". Un'altra storia assegna la maternità del pandoro alla famosa brioche francese, che per secoli ha rappresentato il dessert della corte dei Dogi. In ogni caso c'è una data che sanziona ufficialmente la nascita del pandoro, il 14 ottobre 1884, giorno in cui Domenico Melegatti depositò all'ufficio brevetti un dolce dall'impasto morbido e dal caratteristico stampo di cottura con forma di stella troncoconica a otto punte, opera dell'artista Dall'Oca Bianca, pittore impressionista.


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