domenica 9 marzo 2014

Cucina e dintorni ...


Molto spesso la cucina è percepita come un semplice insieme di ingredienti, regole e tecniche per la preparazione del cibo ma in realtà è molto di più. In senso più esteso e al tempo stesso più specifico, la cucina può intendersi infatti come un sistema di presentazioni, credenze e usi condivisi da persone appartenenti alla medesima cultura o da un gruppo all'interno di questa. Pertanto la cucina non è soltanto un luogo fisico, destinato alle preparazioni culinarie, ma può essere intesa anche come un luogo sociale dove poter apportare le proprie credenze, istituzioni e dove dar conto di differenze sociali e di genere. Del resto, trasformando il cibo la cucina trasforma e organizza anche le società e così facendo svolge un ruolo importante nella storia.




Ogni cucina, civilizzata da proprie tecniche culinarie, persegue un fine comune: quello di trasformare un alimento “naturale” in qualcosa di diverso che, se non del tutto artificiale, è comunque costruito e manipolato dall'uomo. In questo processo gioca un ruolo fondamentale la cottura e di conseguenza il fuoco. Si pensa addirittura che la civiltà sia nata nel momento stesso in cui ciò che era crudo ha cominciato ad essere cotto.
Ogni cultura ha poi costruito o culturalmente modificato il concetto stesso di crudo in antitesi a quello di cotto a seguito della diffusione delle tecniche di cottura. Per questo motivo consideriamo la crudità di un alimento quando siamo soliti consumarlo culturalmente cotto, si pensi alla carne, mentre ne diamo per scontata la crudità quando nella nostra cultura siamo abituati a consumarlo crudo, come nel caso dell’insalata.
Per ogni cucina poi non vi è nulla che sia semplicemente cotto, occorre, infatti, specificare il modo di cottura, da qui ha origine l'opposizione tra l'arrosto è il bollito. Il primo è considerato, in genere, naturale in quanto il fuoco trasforma direttamente il cibo mentre il secondo è un processo culturale perché il fuoco è mediato da un utensile, un elemento artificiale costruito dall'uomo che nella maggior parte dei casi è la pentola: elemento culturale per antonomasia.
L'arrosto rientra quindi in quella che possiamo chiamare esocucina; una cucina pensata per essere condivisa con gli estranei e offerta ai propri ospiti, mentre il bollito rientra in quella che possiamo chiamare endocucina, una cucina ad uso domestico, familiare, intima rivolta ad un gruppo chiuso.
  Per certi aspetti la stessa agricoltura potrebbe considerarsi una forma di cottura; le zolle di terra infatti esposte al calore del sole fungerebbero da forno consentendo la maturazione delle sementi. È forse per questo motivo che all'interno della mitologia contadina si sviluppa la simbologia del forno considerato un luogo di passaggio attraverso cui il cibo passa da uno stato di natura ad uno stato di cultura.
Da subito il calore e il fuoco vengono percepiti come potenti strumenti culturali, limitati non solo ad una sfera alimentare ma anche a quella sociale. Nel momento stesso in cui il cibo viene consumato attorno al fuoco da un gruppo di persone diventa un elemento di condivisione e di aggregazione.
Tuttavia il calore e il fuoco sono strumenti necessari per la cottura ma non indispensabili per la cucina. Il cuocere e il cucinare non sempre coincidono, di fatto cucinare non consiste semplicemente nell’applicare il calore ad alimenti crudi rendendoli più commestibili, cambiandone sapore, bensì cucinare è un processo culturale e morale, attraverso il quale una materia grezza passa dallo stato di natura a quello di cultura. Questo passaggio può essere semplice come cogliere un frutto da un albero o tagliarlo con un coltello, oppure complesso come le creazioni dei più superbi chef. Perciò il cibo è civilizzato dall’arte culinaria non solo a livello di pratica ma anche a livello di fantasia.




Cucinare e condire un alimento equivale quindi ad adattare il cibo alla propria cultura, superare diffidenze e paure, rendere familiare qualcosa di insolito e di ignoto. Il cibo così addomesticato e civilizzato dall’azione mediatrice della cucina in generale, consente il superamento della contrapposizione tra neofobia e neofilia, tradizione e innovazione.
La cucina è uno strumento di costruzione dell’identità individuale e collettiva, di appartenenza ad una cultura, ma anche un insieme di saperi che sa far dialogare se non addirittura armonizzare ingredienti che talvolta possono sembrare tra loro distanti, rendendo possibile la creazione di un ambito di tolleranza nel quale maturano inaspettati incontri tra culture lontane che si scambiano prodotti, tecniche e tradizioni. La cucina così, spazio sociale in cui gli individui interagiscono e creano relazioni, diventa luogo creativo e al contempo rassicurante, rendendo inoltre possibile gestire quella costante tensione dell’uomo sospeso tra volontà di conservare le sue abitudini alimentari e desiderio di innovarle e rinnovarle.
In perenne ricerca di soluzioni che offrano una soddisfazione gusto-olfattiva ma che allo stesso modo diano al mangiatore la sicurezza o la convinzione di cibarsi di un piatto che possa esser percepito tradizionale, genuino, in qualche modo familiare, la cucina si pone come potente strumento di mediazione culturale che in parte colma o riduce le distanze tra le diverse culture attraverso un insieme di accorgimenti rassicuranti e consolatori. La cucina è, del resto, capace di operare una sorta di magia, di purificare il potenziale “veleno” contenuto in un cibo selvatico, naturale e grazie ai processi di adattamento, di sostituzioni, di sapiente aggregazione di ingredienti permette a molti cibi pur connotati territorialmente e culturalmente di entrare a far parte potenzialmente dell’alimentazione di chiunque, divenendo appetibili e culturalmente accettabili.