Molto spesso la cucina è percepita
come un semplice insieme di ingredienti, regole e tecniche per la preparazione
del cibo ma in realtà è molto di più. In senso più esteso e al tempo stesso più
specifico, la cucina può intendersi infatti come un sistema di presentazioni,
credenze e usi condivisi da persone appartenenti alla medesima cultura o da un gruppo
all'interno di questa. Pertanto la cucina non è soltanto un luogo fisico,
destinato alle preparazioni culinarie, ma può essere intesa anche come un luogo
sociale dove poter apportare le proprie credenze, istituzioni e dove dar conto
di differenze sociali e di genere. Del resto, trasformando il cibo la cucina trasforma
e organizza anche le società e così facendo svolge un ruolo importante nella storia.
Ogni cucina, civilizzata da
proprie tecniche culinarie, persegue un fine comune: quello di trasformare un
alimento “naturale” in qualcosa di diverso che, se non del tutto artificiale, è
comunque costruito e manipolato dall'uomo. In questo processo gioca un ruolo
fondamentale la cottura e di conseguenza il fuoco. Si pensa addirittura che la
civiltà sia nata nel momento stesso in cui ciò che era crudo ha cominciato ad
essere cotto.
Ogni cultura ha poi costruito o
culturalmente modificato il concetto stesso di crudo in antitesi a quello di
cotto a seguito della diffusione delle tecniche di cottura. Per questo motivo
consideriamo la crudità di un alimento quando siamo soliti consumarlo
culturalmente cotto, si pensi alla carne, mentre ne diamo per scontata la
crudità quando nella nostra cultura siamo abituati a consumarlo crudo, come nel
caso dell’insalata.
Per ogni cucina poi non vi è nulla
che sia semplicemente cotto, occorre, infatti, specificare il modo di cottura,
da qui ha origine l'opposizione tra l'arrosto è il bollito. Il primo è considerato,
in genere, naturale in quanto il fuoco trasforma direttamente il cibo mentre il
secondo è un processo culturale perché il fuoco è mediato da un utensile, un
elemento artificiale costruito dall'uomo che nella maggior parte dei casi è la
pentola: elemento culturale per antonomasia.
L'arrosto rientra quindi in quella
che possiamo chiamare esocucina; una cucina pensata per essere condivisa con gli
estranei e offerta ai propri ospiti, mentre il bollito rientra in quella che
possiamo chiamare endocucina, una cucina ad uso domestico, familiare, intima
rivolta ad un gruppo chiuso.
Per certi
aspetti la stessa agricoltura potrebbe considerarsi una forma di cottura; le
zolle di terra infatti esposte al calore del sole fungerebbero da forno consentendo
la maturazione delle sementi. È forse per questo motivo che all'interno della
mitologia contadina si sviluppa la simbologia del forno considerato un luogo di
passaggio attraverso cui il cibo passa da uno stato di natura ad uno stato di
cultura.
Da subito il calore e il fuoco vengono
percepiti come potenti strumenti culturali, limitati non solo ad una sfera
alimentare ma anche a quella sociale. Nel momento stesso in cui il cibo viene
consumato attorno al fuoco da un gruppo di persone diventa un elemento di
condivisione e di aggregazione.
Tuttavia il calore e il fuoco sono
strumenti necessari per la cottura ma non indispensabili per la cucina. Il
cuocere e il cucinare non sempre coincidono, di fatto cucinare non consiste
semplicemente nell’applicare il calore ad alimenti crudi rendendoli più
commestibili, cambiandone sapore, bensì cucinare è un processo culturale e morale,
attraverso il quale una materia grezza passa dallo stato di natura a quello di
cultura. Questo passaggio può essere semplice come cogliere un frutto da un
albero o tagliarlo con un coltello, oppure complesso come le creazioni dei più
superbi chef. Perciò il cibo è civilizzato dall’arte culinaria non solo a livello
di pratica ma anche a livello di fantasia.
Cucinare e condire un alimento equivale
quindi ad adattare il cibo alla propria cultura, superare diffidenze e paure, rendere
familiare qualcosa di insolito e di ignoto. Il cibo così addomesticato e civilizzato
dall’azione mediatrice della cucina in generale, consente il superamento della contrapposizione
tra neofobia e neofilia, tradizione e innovazione.
La cucina è uno strumento di
costruzione dell’identità individuale e collettiva, di appartenenza ad una
cultura, ma anche un insieme di saperi che sa far dialogare se non addirittura
armonizzare ingredienti che talvolta possono sembrare tra loro distanti, rendendo
possibile la creazione di un ambito di tolleranza nel quale maturano
inaspettati incontri tra culture lontane che si scambiano prodotti, tecniche e
tradizioni. La cucina così, spazio sociale in cui gli individui interagiscono e
creano relazioni, diventa luogo creativo e al contempo rassicurante, rendendo
inoltre possibile gestire quella costante tensione dell’uomo sospeso tra
volontà di conservare le sue abitudini alimentari e desiderio di innovarle e
rinnovarle.
In perenne ricerca di soluzioni
che offrano una soddisfazione gusto-olfattiva ma che allo stesso modo diano al
mangiatore la sicurezza o la convinzione di cibarsi di un piatto che possa
esser percepito tradizionale, genuino, in qualche modo familiare, la cucina si
pone come potente strumento di mediazione culturale che in parte colma o riduce
le distanze tra le diverse culture attraverso un insieme di accorgimenti
rassicuranti e consolatori. La cucina è, del resto, capace di operare una sorta
di magia, di purificare il potenziale “veleno” contenuto in un cibo selvatico,
naturale e grazie ai processi di adattamento, di sostituzioni, di sapiente aggregazione
di ingredienti permette a molti cibi pur connotati territorialmente e
culturalmente di entrare a far parte potenzialmente dell’alimentazione di
chiunque, divenendo appetibili e culturalmente accettabili.